Le Marche, terra di santi che hanno segnato la storia e la cultura regionale facendo fiorire centri di spiritualità lungo le valli marchigiane. Camaldolesi, cistercensi e francescani hanno costellato il territorio di monasteri, abbazie, conventi, alcuni dei quali aprono oggi le loro porte a ospiti e visitatori come un tempo le aprivano a pellegrini e viandanti.
Una decisiva spinta alla propagazione del movimento viene impressa dall’edificazione di numerose abbazie che si pongono come veri e propri baluardi di fede e di religiosità, dando origine al tempo stesso a cellule aggregative ed economicamente organizzate, connotate da forti contenuti sociali e culturali all’interno del lento e complesso processo di formazione della società medioevale. Forte di questa storica eccellenza, la Regione Marche ha avviato un progetto dal titolo Il Monachesimo nelle Marche. Viaggio alle radici della civiltà europea, volto a sottolineare la presenza di comuni elementi artistici, culturali e ambientali, che fanno capo al fenomeno del monachesimo benedettino
Recenti ricerche hanno accertato la presenza nel territorio marchigiano di quasi cento abbazie sorte durante il periodo di massima espansione del monachesimo. Nell’impossibilità di parlare di tutte, offriamo alcune notizie su quelle strutture che è possibile visitare nell’area del Montefeltro di nostro interesse.
Si narra che l’antica abbazia benedettina, di cui si ha una prima notizia nell’anno 1.125, sia stata edificata nel sito del tempio pagano del dio Mutino. L’abbazia viene citata in più di 500 atti notarili ed è quindi possibile che fosse molto importante e florida fino alla metà del XV sec., quando venne abbandonata. Del complesso originario restano la chiesa, alcuni ambienti del contiguo monastero e una parte del chiostro. Recenti restauri hanno riportato alla luce le arcate delle pareti interne alla chiesa, che in origine la ripartivano in tre navate.
L’abbazia benedettina, in posizione dominante, controllava la strada proveniente dall’alta valle del Tevere. Il notevole impiego di materiale lapideo e alcuni reperti scultorei tradiscono un’antica fondazione risalente intorno al Mille. Del complesso abbaziale rimane oggi soltanto la Chiesa romanica che, in seguito ad un recente restauro, ha riacquistato l’originale impianto medievale. L’austero e disadorno edificio basilicale monoabsidato è a tre navate scandite da solidi pilastri quadrangolari con arcate a tutto sesto e copertura a capriate, probabilmente risalente all’XI-XII sec. Al di sotto del presbiterio sopravvivono i resti di un’antica cripta.
L’abbazia si trova presso il Metauro vicino alla gola del Furlo. Delle due navate originarie resta solo quella maggiore, suddivisa in tre campate coperte una a travi e due a crociera. Il presbiterio è rialzato e separato anche visivamente dal corpo della chiesa e l’abside è ampia e semicircolare, come vuole la simbologia medievale che ne fa metafora della volta celeste. Il portale, a tutto sesto, sostiene una cornice scolpita di età romana. Nella sottostante cripta furono conservate le reliquie di S. Romualdo di Ravenna (oggi nella chiesa dei SS. Biagio e Romualdo a Fabriano) poiché nel 1011 il Santo soggiornò nell’abbazia di S. Vincenzo al Furlo e anche S. Pier Damiani, autore di uno dei testi più noti della spiritualità medievale e romualdina, vi trovò ospitalità prima nel 1036 e poi nel 1042-43.
La chiesa di S. Maria Nuova di Naro, nonostante i continui interventi di ristrutturazione, ha mantenuto intatte le varie fasi costruttive altomedievali e medievali. La facciata conserva la struttura a capanna, mentre il retro è caratterizzato dal campanile a vela e da una monofora nella parete di fondo. Dell’originale struttura a tre navate, oggi rimane solo la navata centrale con tetto a capriate lignee: incassate nei muri di cortina si possono vedere le antiche colonne della navata centrale e parte degli archi, mentre di fronte alla facciata permangono i resti del pronao.
La permanenza presso una comunità monastica può essere l’occasione di compiere un percorso spirituale alla ricerca dei valori più profondi e di affrontare le giornate seguendo ritmi più naturali. Alcune strutture monastiche offrono servizio di foresteria.
Favoriti dal persistere della rete stradale costituita dalle grandi strade consolari Salaria e Flaminia e dai loro diverticoli, nel corso dei secc. X-XI gli insediamenti benedettini raggiungono capillarmente le aree più interne dell’intero territorio marchigiano, collocandosi negli ampi spazi pianeggianti lungo i principali corsi d’acqua (Esino e Chienti) come l’Abbazia di S. Elena di Serra S. Quirico, o quelle di S. Maria delle Moie, S. Vittore delle Chiuse, S. Croce di Sassoferrato, S. Biagio in Caprile a Fabriano. Contestualmente la diffusione avviene anche nelle aree montane, spesso vicino a strategici snodi viari, come nel Montefeltro e nella valle del Cesano: S. Michele Arcangelo in Lamoli, S. Vincenzo al Furlo, S. Pietro di Massa presso Cagli, S. Croce di Fonte Avellana, S. Lorenzo in Campo.
Eremo di Fonte Avellana
Sul finire dell’età classica, col termine scriptorium si indicava lo stilo usato per scrivere sulla cera e successivamente la base di appoggio per il lavoro del copista. Seduto su una panca, con un leggio di fronte dove appoggiare l’originale, il copista si serviva di semplici strumenti: un calamaio di argilla o di corno contenente gli inchiostri, la penna d’oca tagliata in punte diverse secondo le necessità della grafia, una riga di legno ed uno stilo a mina di piombo per tracciare la rigatura e costruire la gabbia o “specchio” di scrittura.
Quando si commettevano errori o si intendeva riutilizzare la preziosa pergamena, la scrittura veniva cancellata con l’uso di un coltello o “raschiatoio”. Sono chiamati codici palinsesti i libri manoscritti che hanno subito una successiva parziale o totale riscrittura dopo la raschiatura della pagina.
La decorazione, cornici, capolettera, iniziali ornate, era opera di specialisti in grado di stendere i delicati colori vegetali, la polvere e la foglia d’oro per i particolari più preziosi.
Già in epoca alto medievale per scriptorium si intendeva il luogo in cui gli amanuensi trascrivevano i codici, di norma una sala apposita del monastero, talvolta anche riscaldata.
Lo scriptorium di Fonte Avellana, probabilmente realizzato all’epoca di S. Pier Damiani (seconda metà dell’XI sec.) è costruito secondo le regole della “misura aurea”, la divina proporzione di Vitruvio.
La sezione aurea, individuata dagli Egizi e utilizzata poi da Greci e Romani, viene riproposta dagli Arabi nel X e XI secolo.
I monaci la fanno propria e la diffondono in tutta Europa. Le precise regole matematiche e trigonometriche che ne ispirano la costruzione, conferiscono allo scriptorium di Fonte Avellana un’armonia, una luminosità e un’acustica perfette tali da rendere il luogo un opus scientiae et artis. L’imponente blocco dello scriptorium avellanita ha un’asse perfettamente orientato in senso nord-sud con il grande arco disposto esattamente verso i quattro punti cardinali, tale da rendere questo luogo sublime funzionante come orologio e calendario solare.
Nelle ore centrali del giorno, nella sala entra un solo raggio di luce attraverso la monofora alta della parete meridionale. Il raggio si sposta poi lentamente dalla parete orientale verso quella occidentale. Quando attraversa la linea mediana della sala è mezzodì. Nel corso dell’anno il sole non cade sullo stesso punto della linea mediana e la lunghezza dello scriptorium è tale che il 22 dicembre, giorno più corto dell’anno o solstizio d’inverno, il raggio arriva esattamente in fondo alla sala, sulla porta d’ingresso. Il 21 giugno, giorno più lungo dell’anno o solstizio d’estate, il raggio arriva sul primo gradino della parete opposta all’ingresso.
La chiesa di San Francesco è una chiesa di Cagli. Nell’omonima piazza con la statua bronzea di Angelo Celli dello scultore Angelo Biancini, posta nel 1959 dinanzi al loggiato del 1885, sorge la chiesa di San Francesco che, edificata tra il 1234 e il 1240 extra-muros, è considerata l’emblema del gotico medioappennico ed è la più antica chiesa francescana delle Marche. L’elegante abside poligonale, dominata dallo slanciato campanile concluso da una guglia in cotto di 12 m di altezza, come peraltro i fianchi corsi da lesene, mostra un ricercato equilibrio cromatico ottenuto contrapponendo ai chiari paramenti in pietra corniola e marmarone, la merlettatura fittile che funge da coronamento. Il portale marmoreo del 1348, con colonne tortili e lanceolate alternate a pilastri quadrangolari, reca nella lunetta un deperito affresco attribuito a Guido Palmerucci e raffigurante la Madonna col Bambino e i Santi Francesco e Giovanni Battista. Gli affreschi del vasto interno ad aula unica occultati dalla scialbatura del 1579 riemergono oltre che nella controfacciata nella ritrovata abside duecentesca.
Il monastero di Santa Chiara è l’antico monastero delle monache clarisse di Urbino. Si tratta di uno dei principali monumenti cittadini ed uno dei massimi esempi di architettura rinascimentale. “La storia ed il destino del monastero di Santa Chiara, edificio costruita su pianta rotonda da Francesco di Giorgio Martini dall’incerta data di edificazione, sono entrambi strettamente legati alla storia della famiglia ducale, per essere stata coinvolta in anni burrascosi nelle dispute storiche tra i Borgia e i Montefeltro, per cui la piccola chiesa conventuale fu teatro di rapimenti e attenzioni non sempre estetiche ed architettoniche.Nel monastero furono inoltre sepolti alcuni protagonisti dell’epoca, tra cui Francesco Maria I,morto nel 1538,per il quale, secondo la testimonianza dei Vasari, Bartolomeo Ammannati,”fiorentino scultore,allora molto giovane”,eseguì la tomba ducale disegnata da Gerolamo Genga. In seguito,altri personaggi della famiglia ducale furono qui trasferiti.. Il monastero fu quindi oggetto di interventi perdendo così la scarna fisionomia architettonica martiniana arricchendosi in seguito di forme cinquecentesche e secentesche, sia all’ interno sia all’esterno. Francesco Maria II, come risulta da alcuni documenti del 1627 e 1629 decise poi “di fare dai fondamenti la chiesa”: si trattò quindi di un progetto di riedificazione, in realtà poi ridotto a una ripresa delle decorazioni interne e ad un semplice ed interno intervento sulla facciata . Attualmente, dopo adeguate ristrutturazioni l’edificio è stato assegnato allI. I.S.I.A. che vi ha organizzato i corsi di arte grafica.”
La chiesa di San Bernardino degli Zoccolanti è una chiesa francescana di Urbino, posta su di una collina a circa 2,5 km fuori dall’abitato. La chiesa venne costruita per disposizione di Federico da Montefeltro dopo la sua morte, a partire dal 1482 al 1491 circa, come luogo per la sua sepoltura e per quella dei suoi successori (Mausoleo Ducale). Il progetto e la successiva realizzazione dell’opera vengono oggi attribuiti all’architetto ducale Francesco di Giorgio Martini (con l’aiuto nella direzione dei lavori del giovane e promettente Donato Bramante). L’edificio presenta una limpida nitidezza architettonica, tipica del Rinascimento urbinate. La chiesa fece da modello per la chiesa di Santa Maria delle Grazie al Calcinaio, nei pressi di Cortona, edificata dallo stesso architetto pochi anni più tardi. Nel 1741 venne danneggiata da un terremoto. L’adiacente convento, dei Frati Cappuccini, pare contrastare la raffinatezza della chiesa con l’austerità e la semplicità dei tradizionali edifici francescani. Opera pure attribuita a Francesco di Giorgio, ha il suo fulcro nel chiostro a pilastri architravati.
La chiesa di San Francesco venne costruita dai Francescani assieme al convento a partire dal 1235. Conserva le semplicissime forme di transizione dal romanico al gotico, in parte ingentilite dalle aggiunte del primo Quattrocento. Il portale ha nella lunetta un affresco del XV secolo (Madonna col Bambino e i santi Francesco e Caterina) di scuola locale. L’interno è ad una navata con tetto a capriate e abside quadrilatera, adorna di un arco trionfale tardo-gotico. Alle finestre, vetrate di F. Mossmeyer (1912) che s’ispirò alla sola originaria rimasta (ora nel museo attiguo), in cui è la più antica rappresentazione su vetro di San Francesco.
Il Convento di Montefiorentino risale per tradizione al suo fondatore San Francesco (1213). Una bolla papale del 1248 concede indulgenze ai fedeli, che contribuiscono al suo restauro. E’ uno dei Conventi più grandi delle Marche, con ampi spazi interni e oltre 10 ettari di terreno, adibiti a parco e area sportiva. La sua struttura, ubicata su un poggio ameno e suggestivo, circondato da verde, ha subito nei corsi dei secoli restauri e ampliamenti, specie nel 1600. Appartiene alla Chiesa di Montefiorentino il Polittico di Alvise Vivarini (1475), oggi esposto presso la Galleria Nazionale d’Arte ad Urbino.
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